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Genitori separati: come gestire i figli nell’emergenza Coronavirus

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L’emergenza del Coronavirus ha ormai travolto tutti, costringendoci a rimanere in casa e a ridurre ai minimi termini la nostra vita relazionale. Scuole chiuse, attività chiuse, molti lavoratori sono in regime di smart-working, gli spostamenti sono pressochè vietati.

Tutte le misure preventive hanno generato il problema di reinventare la nostra quotidianità e quella dei bambini, di stravolgere le nostre abitudini creando nuovi ritmi funzionali.

E nel caso in cui mamma e papà sono separati o divorziati?

Come sappiamo, la legge prevede, per il regime dell’affido condiviso, che l’organizzazione del tempo dei figli sia rimessa ai genitori ciascuno nei periodi di rispettiva permanenza presso di sè, comunicando all’altro genitore come ci si è organizzati.

In questa situazione straordinaria così delicata e di emergenza, tenendo conto del fatto che non sappiamo fino a quando le misure preventive saranno in vigore, sarebbe opportuno ed intelligente che i genitori elaborassero insieme un calendario ed un’organizzazione speciale per questi giorni, mostrando l’un l’altro maggior disponibilità, collaborazione ed elasticità.

Partiamo da un presupposto: “l’emergenza Coronavirus non fa venire meno la paternità e la maternità. Si resta genitori, auspicabilmente responsabili ed attenti, nel perseguimento della tutela dell’interesse prevalente dei minori che è il bene supremo da salvaguardare” (Avv.to Tomeo)

Lo stop agli spostamenti imposto dal Decreto, infatti, non si traduce in un blocco della normale alternanza nella frequentazione dei figli minori da parte del genitore non convivente.

Tuttavia, non possiamo ignorare il fatto che nelle coppie separate il buon senso spesso manca già di default, e la situazione contingente potrebbe essere l’occasione perfetta (anche inconsapevolmente) per rimarcare i “difetti” dell’altro, per “cogliere in fallo” l’ex coniuge e magari attivare dinamiche di vendetta che sino ad oggi non hanno trovato terreno fertile. Detto in altri termini, questa crisi può essere occasione per esasperare la conflittualità.

Per aprire uno spazio di collaborazione, potrebbe essere utile mettere per iscritto un programma giornaliero in cui stilare le attività che devono e possono essere svolte dai minori (compiti, attività ludiche, etc) e condividerlo con l’ex coniuge, chiedendogli di contribuire laddove fosse possibile. Non aspettiamoci che sia l’altro a prendere l’iniziativa, arrabbiandoci se di fatto non lo fa. Prendiamo la situazione in mano e tentiamo di individuare una soluzione organizzativa efficace soprattutto per i minori.

Se uno dei due genitori propone di sospendere gli spostamenti perchè non se la sente di far uscire i figli di casa, ricordiamoci che la richiesta non trova giustificazione nelle norme finora dettate per contrastare l’emergenza. Cerchiamo di non aggredire l’altro di fronte a tale esternazione, ma proviamo a comprendere la paura e l’ansia che magari l’ex coniuge sta provando. Siamo tutti esposti ad una situazione anomala che dobbiamo imparare a gestire, anche emotivamente.

Se entrambi i genitori si trovano in regime di smart-working e quindi necessitano di terzi soggetti per la gestione dei figli nei loro giorni di spettanza, la legge già prevede che si debba dare tempestiva comunicazione all’ex-coniuge. In questo periodo, cerchiamo di metterci nei panni dell’altro e di accogliere tali richieste senza “fare muro”: se si ricorre ad una baby sitter, ad esempio, si può concordare una condivisione della spesa e una condivisione della stessa risorsa, così da ridurre anche il contatto dei figli con più persone.

Ricordiamo che la situazione contingente sta colpendo tutti, e non esiste “una situazione peggiore dell’altra”: entrambi i genitori sono chiamati a gestire in modo straordinario la propria attività e sono chiamati a gestire in modo altrettanto straordinario la propria genitorialità. Evitiamo i confronti al ribasso, il vittimismo ed il conseguente senso di ingiustizia che ne deriva (potente miccia della rabbia).

In un momento di allerta nazionale, ci si augura che la coppia genitoriale sia in grado di accantonare la conflittualità reciproca aprendo uno spazio di collaborazione per gestire al meglio questa (si spera) temporanea organizzazione dei minori.

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Genitori separati: non si coinvolge il figlio nel conflitto

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 “Chiedilo a tuo padre perché ci ha abbandonati.“

“E’ colpa di tua madre se quest’anno non potrai più frequentare il corso di nuoto.“

“Se domani non te la senti di andare con lui dai nonni, diciamo a tuo padre che hai l’influenza.“

“Se mamma ti sgrida, registrala con il cellulare, sarà un segreto tra noi.”

Queste sono solo alcune, peraltro tra le più innocue, manifestazioni di quella odiosa ma dilagante forma di irresponsabile coinvolgimento dei figli nel conflitto genitoriale.

Tra una rivendicazione economica e una domanda di addebito, infatti, capita troppo spesso che i minori vengano coinvolti, anzi travolti, dalle insane dinamiche che un amore finito lascia dietro di sé. In men che non si dica, i bambini cambiano ruolo: da spettatori inermi delle quotidiane e reciproche recriminazioni tra mamma e papà, ad attori protagonisti della scena del crimine. Piccoli strumenti nelle mani sapienti dell’uno, potentissime armi scagliate contro l’altro, costretti a portare sulle loro piccole spalle il peso insopportabile del conflitto di lealtà. A scegliere da quale parte stare.

E’ così che, silenziosa e subdola, l’alienazione di un genitore per mano dell’altro si insinua fra le mura domestiche e, in uno stillicidio quotidiano e programmatico, contamina i pensieri dei figli, ne sovverte gli equilibri, ne sgretola le certezze, ne lacera i sentimenti.  Queste dinamiche vengono comunemente ricondotte al fenomeno dell’alienazione genitoriale: un vero e proprio abuso da parte di un genitore, accecato dallo spirito di rivalsa sull’altro, con buona pace del diritto dei figli alla bigenitorialità, che imporrebbe, invece, di preservare l’altra figura genitoriale e di garantire un rapporto costante e sereno con i figli.

Le forme nelle quali può attuarsi e manifestarsi l’alienazione genitoriale sono così tante che sfuggono a una precisa elencazione e descrizione. Quelle più gravi – che, tramite un vero e proprio “arruolamento” del minore a difesa di un genitore, portano alla radicale emarginazione dell’altro – degenerano nella cosiddetta PAS (sindrome di alienazione parentale), ancora non del tutto scientificamente delineata e oggetto di accesi dibattiti in ambito psico-forense.

Affinché si possa parlare di alienazione genitoriale, in ogni caso, è necessaria l’esistenza di due elementi essenziali, correlati fra loro da uno stretto rapporto di causa/effetto: l'”indottrinamento” del figlio, da parte di un genitore a pregiudizio dell’altro, e l’adesione acritica (e inconsapevole) del figlio alla posizione del genitore alienante, del quale diventa, suo malgrado, il complice ideale. Così il bambino, in un’indebita sovrapposizione di ruoli, di età e di vissuti, si sente in dovere di schierarsi e si associa alla campagna denigratoria del papà contro la mamma, o della mamma contro il papà.

Questo allarmante fenomeno è del tutto trasversale, non guarda né all’estrazione sociale, né al titolo di studio, né alla provenienza geografica dei genitori, e va affrontato in modo serio e consapevole dagli “operatori del settore”: avvocati, psicologi, giudici, consulenti tecnici, insegnanti, che hanno il dovere di informarsi, di responsabilizzarsi, di riconoscere per tempo i segnali di un’alienazione genitoriale in atto, e, soprattutto, di disincentivare il genitore responsabile. Anche a costo di rinunciare a un incarico o di fare un passo indietro nel conflitto giudiziario. Perché questa guerra, dove le armi sono proprio loro, infligge ai minori ferite invisibili che si porteranno dentro per il resto della loro vita, anche quando le rivalse tra papà e mamma scemeranno, anche quando le pretese economiche saranno soddisfatte, anche quando, e questo è il pericolo nel pericolo, saranno a loro volta genitori.

tratto da Larepubblica.it

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