La Carta dei Diritti dei Figli nella separazione dei genitori
Pochi giorni fa è stata presentata a Roma la “Carta dei Diritti dei Figli nella separazione dei genitori”. A farlo è stata l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Filomena Albano. Il documento presenta 10 punti fermi che individuano altrettanti diritti di bambini e ragazzi alle prese con un percorso che parte dalla decisione dei genitori di separarsi.
I principi fondanti della Carta sono ispirati alla Convenzione Onu sui diriti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Così ha detto l’Autorità garante: “I bambini ed i ragazzi hanno diritto a preservare le relazioni familiari, a non essere separati dai genitori, a mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi e, soprattutto, ad essere ascoltati su questioni che li riguardano“.
Per la stesura della Carta sono stati ascoltati i ragazzi che fanno parte della Consulta dell’ Agia, oltre ad esperti del settore giuridico, sociale, psicologico e pedagogico.
Il documento sarà inviato alle agenzie educative, ai consultori, ai tribunali, agli ordini professionali ed alle associazioni.
Il documento promuove la centralità dei figli proprio nel momento della crisi di coppia. I genitori, pur se separati, non smettono di essere genitori. Ogni genitore deve poter rappresentare un faro, un riferimento, la prima persona a cui il figlio pensa di rivolgersi in caso di difficoltà e per condividere gioia ed entusiasmo. Affinchè si possano aiutare i figli, bisogna renderli consapevoli che nel cuore e nella testa dei genitori c’è un posto speciale per loro.
Ecco, in sintesi, i 10 punti/diritti presenti nella Carta:
- I figli hanno il diritto di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti;
- I figli hanno il diritto ad essere figli e di vivere la loro età;
- I figli hanno il diritto di essere informati ed aiutati a comprendere la separazione dei loro genitori;
- I figli hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere i loro sentimenti;
- I figli hanno il diritto di non subire pressioni da parte dei genitori e dei parenti;
- I figli hanno il diritto che le scelte che li riguardano siano condivise da entrambi i genitori;
- I figli hanno il diritto di non essere coinvolti nei conflitti tra i genitori;
- I figli hanno il diritto al rispetto dei loro tempi;
- I figli hanno il diritto di essere preservati dalle questioni economiche;
- I figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano.
La Carta dei Diritti dei Figli nella separazione dei genitori è scaricabile qui
Scegliete bene il vostro Consulente Tecnico di Parte (CTP)
In uno dei miei primi articoli ho spiegato quali sono i possibili ruoli dello psicologo in ambito forense ( https://ceciliapecchioli.it/giuridica/il-ruolo-dello-p…ntesto-giuridico/ ).
Vorrei concentrarmi oggi sulla figura del Consulente Tecnico di Parte (CTP) portando all’attenzione un’esigenza che, a mio parere, sta diventando sempre più impellente.
Come sappiamo, il nostro Codice di Procedura Civile prevede che «Il Giudice Istruttore, con l’ordinanza di nomina del consulente, assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico. Il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’articolo 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.» (art. 201 c.p.c.)
Il CTP, di fatto, non è altro che un libero professionista, di regola operante in un determinato campo tecnico e/o scientifico, al quale una parte in causa -attuale o potenziale- conferisce un incarico peritale in quanto ritiene l’incaricato esperto in uno specifico settore. Non esistono tuttavia particolari preclusioni o indicazioni, nel Codice di Procedura Civile, con riferimento ai CTP, e questo nel corso del tempo ha creato non poche problematiche.
Il Consulente di Parte assume un ruolo fondamentale per la risoluzione di questioni che, sempre più spesso, dipendono da valutazioni di carattere tecnico molto precise, specie quando sono coinvolti dei minori.
A differenza del CTU, che (purtroppo non in tutte le Regioni) prevede un iter formativo ed esperenziale specifico, valutato poi da una apposita Commissione tecnica che approva l’inserimento in un albo dedicato, il CTP non ha regole a cui riferirsi, è lasciato “al caso”.
L’assenza di un protocollo che stabilisca i requisiti per lavorare come CTP ha creato una situazione a dir poco pericolosa, in cui moltissimi colleghi si spacciano esperti essendo “solo” psicologi, e quindi non sanno come muoversi, cosa osservare, cosa contestare, come tutelare il loro cliente e, soprattutto, i minori coinvolti.
Purtroppo, alla leggerezza che molti colleghi dimostrano nel prendere in carico casi per i quali non hanno la dovuta preparazione, si aggiunge la scarsa informazione, che porta il cittadino e/o il legale a scegliere in modo casuale lo psicologo a cui affidare l’incarico, valutandolo in base a conoscenze personali o alla parcella più bassa.
La commistione di questi elementi ha portato, oggi, all’arrivo presso il nostro Ordine di tantissimi esposti a carico di colleghi che hanno svolto attività di CTP senza avere alcuna competenza, ma soprattutto pone i clienti in una condizione di rischo enorme e, purtroppo, a volte anche ad esiti infausti.
Vero è che esistono documenti ufficialmente riconosciuti contenenti “buone prassi” per l’esercizio della professione di psicologo forense, ma questi non sono sufficienti laddove il collega è carente di competenze in materia.
Da anni sostengo la necessità di definire un protocollo che delinei in modo specifico la figura del CTP, alla stregua di quella del CTU: più volte ho portato all’attenzione delle Istituzioni il problema, sottolineando la complessità e la delicatezza di questo lavoro, che è completamente diverso da quello del clinico e richiede necessariamente conoscenze specifiche sulle procedure, sul contesto, sull’operatività.
Nella speranza di trovare la migliore strada per concretizzare la mia proposta tecnica, ritengo doveroso invitare i cittadini e gli avvocati a fare una scelta ponderata dei colleghi a cui affidare un incarico di CTP.
Verificate le competenze del collega che avete individuato. Fatevi inviare il CV, in cui controllare sia la parte formativa (deve esserci almeno un corso in materia di psicologia giuridica) sia la parte esperenziale (chi svolge questa attività, anche se è alle prime armi, ha la possibilità di elencare nel proprio CV i numeri dei procedimenti a cui ha partecipato, anche solo come osservatore o tecnico ausiliario di un CTU o del Tribunale).
Non fatevi abbindolare da parcelle molto basse, il lavoro di CTP ha una durata minima di almeno 3 mesi e si dipana su più livelli di operatività, pertanto è lecito e plausibile che il compenso sia proporzionato all’intensa attività da svolgere.
Non affidatevi a conoscenze trasversali, controllate sempre che anche lo psicologo “amico dell’amico” sia formato in psicologia giuridica.
E, cari colleghi, se volete spendervi in questo settore, formatevi, o quantomeno, fatevi supervisionare da chi ha competenza.
Genitori separati: non si coinvolge il figlio nel conflitto
“Chiedilo a tuo padre perché ci ha abbandonati.“
“E’ colpa di tua madre se quest’anno non potrai più frequentare il corso di nuoto.“
“Se domani non te la senti di andare con lui dai nonni, diciamo a tuo padre che hai l’influenza.“
“Se mamma ti sgrida, registrala con il cellulare, sarà un segreto tra noi.”
Queste sono solo alcune, peraltro tra le più innocue, manifestazioni di quella odiosa ma dilagante forma di irresponsabile coinvolgimento dei figli nel conflitto genitoriale.
Tra una rivendicazione economica e una domanda di addebito, infatti, capita troppo spesso che i minori vengano coinvolti, anzi travolti, dalle insane dinamiche che un amore finito lascia dietro di sé. In men che non si dica, i bambini cambiano ruolo: da spettatori inermi delle quotidiane e reciproche recriminazioni tra mamma e papà, ad attori protagonisti della scena del crimine. Piccoli strumenti nelle mani sapienti dell’uno, potentissime armi scagliate contro l’altro, costretti a portare sulle loro piccole spalle il peso insopportabile del conflitto di lealtà. A scegliere da quale parte stare.
E’ così che, silenziosa e subdola, l’alienazione di un genitore per mano dell’altro si insinua fra le mura domestiche e, in uno stillicidio quotidiano e programmatico, contamina i pensieri dei figli, ne sovverte gli equilibri, ne sgretola le certezze, ne lacera i sentimenti. Queste dinamiche vengono comunemente ricondotte al fenomeno dell’alienazione genitoriale: un vero e proprio abuso da parte di un genitore, accecato dallo spirito di rivalsa sull’altro, con buona pace del diritto dei figli alla bigenitorialità, che imporrebbe, invece, di preservare l’altra figura genitoriale e di garantire un rapporto costante e sereno con i figli.
Le forme nelle quali può attuarsi e manifestarsi l’alienazione genitoriale sono così tante che sfuggono a una precisa elencazione e descrizione. Quelle più gravi – che, tramite un vero e proprio “arruolamento” del minore a difesa di un genitore, portano alla radicale emarginazione dell’altro – degenerano nella cosiddetta PAS (sindrome di alienazione parentale), ancora non del tutto scientificamente delineata e oggetto di accesi dibattiti in ambito psico-forense.
Affinché si possa parlare di alienazione genitoriale, in ogni caso, è necessaria l’esistenza di due elementi essenziali, correlati fra loro da uno stretto rapporto di causa/effetto: l'”indottrinamento” del figlio, da parte di un genitore a pregiudizio dell’altro, e l’adesione acritica (e inconsapevole) del figlio alla posizione del genitore alienante, del quale diventa, suo malgrado, il complice ideale. Così il bambino, in un’indebita sovrapposizione di ruoli, di età e di vissuti, si sente in dovere di schierarsi e si associa alla campagna denigratoria del papà contro la mamma, o della mamma contro il papà.
Questo allarmante fenomeno è del tutto trasversale, non guarda né all’estrazione sociale, né al titolo di studio, né alla provenienza geografica dei genitori, e va affrontato in modo serio e consapevole dagli “operatori del settore”: avvocati, psicologi, giudici, consulenti tecnici, insegnanti, che hanno il dovere di informarsi, di responsabilizzarsi, di riconoscere per tempo i segnali di un’alienazione genitoriale in atto, e, soprattutto, di disincentivare il genitore responsabile. Anche a costo di rinunciare a un incarico o di fare un passo indietro nel conflitto giudiziario. Perché questa guerra, dove le armi sono proprio loro, infligge ai minori ferite invisibili che si porteranno dentro per il resto della loro vita, anche quando le rivalse tra papà e mamma scemeranno, anche quando le pretese economiche saranno soddisfatte, anche quando, e questo è il pericolo nel pericolo, saranno a loro volta genitori.
tratto da Larepubblica.it